
Il lavoro precario è la triste costante su cui poggia da molti anni il nostro Paese. Un lavoro che c’è ma che non dà certezze, perché le aziende a loro volta non ne hanno. E mentre l’occupazione cresce rispetto al 2020, il 60% dei nuovi contratti è a tempo determinato.
“L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro precario”, recitano diversi siti web da diversi anni a questa parte. E come dar loro torto. Un mercato del lavoro, quello italiano, fermo da decenni, che non si rinnova, che non ha visto ricambio generazionale né politiche volte ad una maggiore agilità.
La situazione è presto visibile analizzando i dati sull’occupazione: nel 2021 – dovremmo dire fortunatamente – gli occupati hanno nuovamente superato i 23 milioni. Una buona notizia, se pensiamo che dal 2020, per via della pandemia, c’è stato un brusco calo delle assunzioni e un esponenziale aumento di contratti non rinnovati e dimissioni volontarie.
Di questi 23 milioni di occupati, però, il 60% è a tempo determinato. Vale a dire che più della metà dei cittadini con un lavoro ha un lavoro precario.
I dati del lavoro in Italia:
Il lavoro continua ad essere un tasto dolente. Con un tasso di disoccupazione pari al 58,9%, l’Italia si attesta tra i paesi con il minor numero di occupati, cosa che va principalmente a discapito delle donne, che rappresentano quasi il 50% della popolazione disoccupata.
Nel 2021 si è riscontrato un leggero aumento delle occupazioni, ma – come già detto, parliamo sempre di lavoro precario, che, non garantendo reali prospettive sul futuro, frena la crescita della società sotto moltissimi aspetti.
Gli effetti del lavoro precario
Il lavoro precario genera un circolo vizioso che porta ad un vero e proprio immobilismo sociale. Partiamo dal calo delle nascite. Con posti di lavoro sempre più precari e immensa difficoltà nella ricerca di un nuovo impiego, sono tantissime le giovani coppie che mettono in pausa (questa volta, a tempo indeterminato) il desiderio di metter su famiglia, non sapendo cosa riserverà loro il futuro professionale.
Parallelamente, la totale assenza di strumenti a sostegno delle famiglie e dei neogenitori, che fa ricadere gran parte delle responsabilità sulle aziende che non possono – e talvolta non vogliono – farsi carico della gestione di maternità o congedi parentali, crea terreno ancora più fertile per contratti di lavoro precari.
Allo stesso modo, con un lavoro precario non si può pensare di acquistare beni che in alcune zone rappresentano quasi beni essenziali, come un’automobile. E’ difficile, persino, affittare una casa, figuriamoci acquistarne una. Da qui, si capisce perché in Italia il numero di over 30 che vive ancora con i genitori sia così elevato.
Lavoro precario, non job hopping
La tendenza che si riscontra in molti paesi fuori dall’Italia è quella del job hopping, ovvero un cambio frequente della situazione lavorativa. In molti cercano di far passare questo fenomeno come un’opportunità a cui i giovani italiani dovranno presto abituarsi, perché sinonimo di flessibilità e voglia di imparare.
In realtà, la situazione italiana è di gran lunga più complessa. Si può parlare di job hopping in quei paesi in cui il mercato del lavoro è in continuo movimento e sempre aperto ad accogliere nuovi occupati, dando loro un profondo senso di sicurezza e garantendo (fin dove possibile) di trovare sempre un’occupazione.
In Italia, quindi, non ha senso parlare di job hopping, bensì di lavoro precario. Il continuo cambio di lavoro, nel nostro Paese, non avviene per scelta, ma per necessità, il più delle volte essendo costretti ad accettare mansioni che non siano coerenti con il percorso di studi e con le proprie competenze professionali.
Quali sono le prospettive del lavoro precario in Italia
La crescita dei contratti di lavoro precari si attesta al 16%, un dato notevole se pensiamo che il lavoro dovrebbe essere il vero motore del Paese. Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio-Cgil, sostiene che senza interventi – come ad esempio i fondi del PNRR – l’Italia rischia di superare il più alto livello di precariato dal 2019.
Inaccettabile, dunque, che in un periodo come questo in cui le istituzioni sembrano proiettate verso una ripresa totale dell’economia, la situazione lavorativa del Paese sia ancora all’insegna del lavoro precario e non vi siano prospettive di crescita o di miglioramento, come sostegni alle imprese nell’assunzione di personale a tempo indeterminato, ma anche un sistema di infrastrutture sociali più efficiente ed efficace.